Ancora tengo con me quel filtro arrotolato dentro ad un biglietto
della metropolitana di Milano,
che nascondesti nelle fessure dei grandi sassi della casa di un paese della Toscana.
Il mio posto.
Del mio posto ti parlai sopra un letto sotto le assi di un legno che strideva dal dolore,
circondato da un bosco pieno di puttane
e da scogli di terra
e da sogni spezzati e rinati ed ancora spezzati
e fiori profumati del maggio che si trovava alle porte di una Roma troppo stretta per noi.
Ma soprattutto per me.
Ti parlai dei miei anni nel calore dell’infanzia,
degli incubi che mi soffocavano nei suoi vicoli e dei gatti che mi seguivano nelle piazze,
dei bambini dai quali scappavo, intimidita
e che nessuno in quel paese era mai arrivato con me.
Chiudevo gli occhi e sfioravo la tua mano, e il buio di quel maggio ci entrò dentro
esattamente come tutte le altre notti della nostra vita.
Ti parlai del mio paese
ti parlai dei miei viaggi che avrei compiuto nel gelo sceso sui miei vent’anni,
e ti svelai, stringendo la mia voce al tuo orecchio,
che non sarei più tornata.
Noi non ci amiamo.
Lo sigillammo con un bacio.
Attraversai le montagne col nostro giuramento stretto fra le labbra
Mi infilai nelle città degli altri nelle vite degli altri nei letti degli altri.
Attraversai il mare con la nostra promessa rinchiusa fra le palpebre degli occhi
Lasciai cavalcare il imo spirito fra le foreste dell’Inghilterra
attenta a non ferirmi le braccia con i suoi rami, attenta a non cadere sulle sue radici
Ma un vento nato dai tuoi respiri mi parlò di te
E di come giungesti alle colline silenziosamente
Ed io corsi per miglia fino alle alte mura,
fino alle fessure dei grandi sassi,
con la nostra bugia stretta in un pugno.
Nessuno era mai arrivato lì con me
e tu eri già sparito.
Stringevo il tuo filtro ed in bocca avevo già il mio,
seduta sugli ultimi gradini della fortezza.
Le labbra secche, gli occhi vuoti, le mani insanguinate.
Il mio posto violentato dalla tua presenza, i miei incubi ormai svelati a te.
Tenni il tuo filtro ed il mio lo gettai lontano, regalandolo al tramonto.
Mio padre posò la sua lacrima sulla mia spalla e mi sussurrò che era tempo di andare
Tempo per me di non tornare mai più.
Percorsi le strade del disgelo di settembre.
Il vento di questa città mi parla ancora,
il vento del nord continua a usare la tua voce
Gioca a torturarmi.
Accendo una sigaretta e penso al tuo filtro avvolto in quel biglietto.
Dentro c’è il nostro egoismo, la nostra paura
Dentro ci sono i mesi dell’assenza, della distanza.
Dentro ci sono tutte le stagioni che non abbiamo mai vissuto
Persino quella di stanotte.
La neve di Trieste, la pioggia di Roma.
Quella Roma che mi soffocava,
Quella Roma che dentro ha te,
L'unica cosa che mi da respiro.
Io ho viaggiato tanto. Ho lasciato tanto.
Eppure, penso alla tua bocca, e trattengo un sorriso.
Io, a Milano, non ci sono mai stata.
che nascondesti nelle fessure dei grandi sassi della casa di un paese della Toscana.
Il mio posto.
Del mio posto ti parlai sopra un letto sotto le assi di un legno che strideva dal dolore,
circondato da un bosco pieno di puttane
e da scogli di terra
e da sogni spezzati e rinati ed ancora spezzati
e fiori profumati del maggio che si trovava alle porte di una Roma troppo stretta per noi.
Ma soprattutto per me.
Ti parlai dei miei anni nel calore dell’infanzia,
degli incubi che mi soffocavano nei suoi vicoli e dei gatti che mi seguivano nelle piazze,
dei bambini dai quali scappavo, intimidita
e che nessuno in quel paese era mai arrivato con me.
Chiudevo gli occhi e sfioravo la tua mano, e il buio di quel maggio ci entrò dentro
esattamente come tutte le altre notti della nostra vita.
Ti parlai del mio paese
ti parlai dei miei viaggi che avrei compiuto nel gelo sceso sui miei vent’anni,
e ti svelai, stringendo la mia voce al tuo orecchio,
che non sarei più tornata.
Noi non ci amiamo.
Lo sigillammo con un bacio.
Attraversai le montagne col nostro giuramento stretto fra le labbra
Mi infilai nelle città degli altri nelle vite degli altri nei letti degli altri.
Attraversai il mare con la nostra promessa rinchiusa fra le palpebre degli occhi
Lasciai cavalcare il imo spirito fra le foreste dell’Inghilterra
attenta a non ferirmi le braccia con i suoi rami, attenta a non cadere sulle sue radici
Ma un vento nato dai tuoi respiri mi parlò di te
E di come giungesti alle colline silenziosamente
Ed io corsi per miglia fino alle alte mura,
fino alle fessure dei grandi sassi,
con la nostra bugia stretta in un pugno.
Nessuno era mai arrivato lì con me
e tu eri già sparito.
Stringevo il tuo filtro ed in bocca avevo già il mio,
seduta sugli ultimi gradini della fortezza.
Le labbra secche, gli occhi vuoti, le mani insanguinate.
Il mio posto violentato dalla tua presenza, i miei incubi ormai svelati a te.
Tenni il tuo filtro ed il mio lo gettai lontano, regalandolo al tramonto.
Mio padre posò la sua lacrima sulla mia spalla e mi sussurrò che era tempo di andare
Tempo per me di non tornare mai più.
Percorsi le strade del disgelo di settembre.
Il vento di questa città mi parla ancora,
il vento del nord continua a usare la tua voce
Gioca a torturarmi.
Accendo una sigaretta e penso al tuo filtro avvolto in quel biglietto.
Dentro c’è il nostro egoismo, la nostra paura
Dentro ci sono i mesi dell’assenza, della distanza.
Dentro ci sono tutte le stagioni che non abbiamo mai vissuto
Persino quella di stanotte.
La neve di Trieste, la pioggia di Roma.
Quella Roma che mi soffocava,
Quella Roma che dentro ha te,
L'unica cosa che mi da respiro.
Io ho viaggiato tanto. Ho lasciato tanto.
Eppure, penso alla tua bocca, e trattengo un sorriso.
Io, a Milano, non ci sono mai stata.
...Ma se persino quando scrivi in prosa sai essere poetica.:) Come al solito entrare nelle pieghe delle tue esperienze e dei tuoi segreti, senza riuscire completamente ad afferrarli e a rubarteli,ma comunque "sentendoli",è un piacere. :)
RispondiEliminaMi va di spiegare un po'.
EliminaDiciamo allora che è una "poesia" tratta da una storia vera. E' la storia dello sfiorarsi di due vite destinate ad allontanarsi ancora un altro po'.
Mi piace il fatto che sia successo davvero, questo rincorrerci.
Che lui in quel "posto" ci restò per poco tempo, il tempo di girarlo tutto ed avere una conversazione surreale con un bambino. Venne per me, per vedere con i miei occhi quello che io vedevo. E quando io arrivai lui se n'era già andato, nonostante mesi passati a non vederci. Perché, in realtà, incontrarci... non era quello il punto, né il fine ultimo.
Questa cosa mi piacque da impazzire.
mai stata mai mai mai?
RispondiEliminama allora, lasciate che le Ari vengano al K !
(sto in periodo mistico, si nota tanto?)
Più che mistico, direi stupefacente. Nel senso di allucinato. Meglio non indagare sulle cause o le sostanze che lo provocano.
Eliminaariecco la piattola
EliminaEh, mi piacerebbe venire a Milano. Devo trovare il tempo e l'ispirazione giusta.
EliminaMa soprattutto, se vengo, mi devi passare un po' di roba buona, quella che dice SSilvan.
io sono della scuola dalì, ormai... "io non prendo droghe, io SONO droghe". vedi tu se assumermi, ari :-)
EliminaE lo dica che la diverte avere una voce contro, in mezzo a quei miagolii scomposti e tutti uguali.
EliminaBene. Fumerò il K.
EliminaMiao!
Chiamasi carenza di potassio. Attenzione, troppo potassio fa venire i conati di vomito, specie se scende il sodio. Io l'ho avvisata.
EliminaIo c'ho il magone.
RispondiEliminaTu scrivi... non voglio dire bene o benissimo perché sarebbe troppo poco, e non voglio commentare in modo ironico perché non darebbe valore al post che per fortuna hai scelto di condividere con tutti.
Madonna come scrivi.
Inutile dire "oh, grazie". Inutile.
EliminaIo invece pensavo agli opposti.
Penso al mio invidiarti la tua ironia ed il modo in cui la gestisci, completamente. Dandole spazio, negandoglielo, accorciandoglielo, allungandoglielo. Perfetto. I tempi perfetti, incalzanti, leggerti è veramente bello. Mi fai venire voglia di diventare spigliata come te. Però nulla, non riesco. E io invidio tantissimo questo tipo di scrittura, un tipo di scrittura che non avrò mai, che io nella vita di tutti i giorni riesco ad essere ironica, ma dammi un foglio ed una penna, una tastiera ed una pagina word, e non riesco a scrivere altro che tragedie.
Gli opposti...
Perché non lasciare che il passato sia una terra straniera?
RispondiEliminaChé portarsi più valigie di quelle di cui abbiamo bisogno non serve a nulla. Solo a rallentare.
Io non posso nulla.
EliminaHo quell'umore che oscilla. Un giorno su, e allora c'è solo il presente, il fare, i progetti, nessun pensiero che possa portarmi ad una mancanza di produttività. Solo cose positive, e sono leggera e vado veloce.
Il giorno dopo mi sveglio e peso mezzo quintale. Con tutto quello che ne comporta, che lo immaginate tutti qui, nemmeno mi spreco a fare elenchi.
Certe volte accade addirittura dentro una stessa giornata. E' una figata pazzesca. Viene voglia di sbattere la capoccia su ogni superficie.
Io non posso fare niente. Per quando possa autocondizionarmi o cambiare il mio pensiero, il mio umore ha vita propria. Non posso fare altro che lasciarlo scorrere. Sennò è peggio.
Allora, forse, bisogna sfruttare meglio i giorni "su" e provare a non demolire tutto in quelli "giù".
EliminaGuarda che hai più forza di quel che credi.
Davvero bello. Suggestivo.
RispondiEliminaGrazie Silver.
EliminaQuesta è la prima volta che riesci ad intimidirmi sul serio.
Intimidirla?! La mia non era un'intimidazione!
EliminaEh, lo so, lo so... Paradossalmente, intimidisci di più quando non sei sul piede di guerra, il che è raro. E proprio a causa di ciò, i tuoi complimenti diventano una pugnalata al cuore. Farcita di miele e fragoline di bosco però.
EliminaIl perché, però, quello vero, non so spiegartelo. Eh.
Caspita, io non mi vedo così guerrafondaia. Ma com'è? Io non faccio complimenti, comunque, faccio constatazioni, molto personali, nel bene e nel male. I complimenti mi sanno di piaggeria gratuita. Chi ti fa complimenti, una volta che ha cambiato idea su di te, demolisce qualsiasi cosa tu faccia. Non mi sembra molto obiettivo.
EliminaCerti posti restano lì in attesa di noi...
RispondiEliminaLo penso anch'io.
EliminaBisogna però cogliere il momento giusto. Altrimenti si potrebbe rovinare tutto. E quel posto finiremmo con l'odiarlo. Ed è una schifezza.
io non le uso nemmeno, le parole che ho qui.
RispondiEliminale metto sul tavolo, fai tu.
che tanto.
ciao.
L'ultimo "ciao" mi ha fatto proprio sorridere.
EliminaCapito? Mi hai fatto sorridere.
Cioè. Un evento straordinario eh. Ciò ti fa onore.
Dammi retta: Milano non fa per te. Lì hanno anche la brutta abitudine di mangiare. Ed in più spesso ci sono anche io.
RispondiEliminaBrutte cose.
Bella Ari. Bella.
Io sono sempre più convinta della tua grande tenerezza.
EliminaNon lo so mica perché, eh. Però quando ti leggo certe volte ho questa sensazione.
Che insomma, poi capisco eh, "tenerezza" fa schifo. Voglio dire, molti lo concepiscono come un complimento, a me se me lo dicono comincio ad incazzarmi.
Però... Niente.
E io a Milano ci vado, ecco. Sto organizzando una gita a Fiume, e non riesco ad andare a Milano? Ma allora sono deficiente. Però dimmi i giorni in cui tu ci vai, così evitiamo di incrociarci.
Bello Banale. Bello.
Prova a darmi del tenero e ti mi ti inculo.
EliminaIn tutti i sensi.
Ovviamente ti avviso. Non voglio rischiare di urtarti, pofferbacco, e spezzarti 7 coste senza prima presentarmi.
Bella&brava Ari.
Dedicato a lei, "signor" Banale, dopo la lettura del suo ultimo post.
Eliminahttp://m.youtube.com/watch?v=GXsLHwJhmAI
sta salendo.
RispondiEliminala pressione.
la lancetta.
il sensore d'assenza.
l'esplosione ci coglierà di sorpresa.
non lasciare che la vita ti tolga questo posto.
serve a tutti, serve a te.