giovedì 29 novembre 2012

Sorellanze silenziose.


Corro per le strade di Trieste. La borsa continua a scivolarmi dalla spalla, sudo tanto, il fiato si fa corto, eppure stringo fra le dita la mia sigaretta rollata alcuni minuti fa a casa. Ogni tanto aspiro.
Sono in ritardo, come sempre. Lancio il mozzicone dentro al posacenere, stranamente lo centro. Apro la porta, mi ricompongo, mi infilo nell'Aula Magna. La professoressa ancora non è arrivata. Le poche persone che mi piacciono sono assenti o a file e file di distanza. Così mi scelgo un posto appartato. Tiro su le gambe. Accendo il computer. E mi guardo intorno.

La mia facoltà, ma forse è meglio dire scuola, è stata sempre spiccatamente femminile. Me lo ripeteva la mia vecchia professoressa di inglese del liceo, che lei c'era stata, quarant'anni fa, me lo ripeto anch'io, che ci sono, ora.
E succedono delle cose strane, quand'è così. Quando ci sono femmine femmine femmine. Dappertutto. E' come se l'aria cambiasse il suo odore, se l'atmosfera mutasse la sua leggerezza. Non saprei dire in che modo, di preciso. Ma tutto cambia. La sensazione di essere fra sole donne immerge nella calma, nella tranquillità. Sempre e comunque. Nonostante le antipatie e la competitività snervante di molte di noi.
Perché in mezzo al silenzio pacifico, se proprio dev'esserci una nota violenta, questa sarà passiva. Sì, una violenza passiva. Un ambiente fiorito di belle teste produttive. Sì, guardavo tutte quelle teste. Sarà una raccolta fruttuosa un giorno.
Mi guardo intorno, ammiro i loro capelli lunghi e ben pettinati, e so che dentro le loro belle teste c'è anche qualcosa che le corrode.
Altrimenti non si spiegherebbe per quale motivo siano tutte così inconfondibilmente magre. Siamo 160. Leviamo una 15ina di ragazzi. 145. Leviamo le due obese. 143. Leviamo le normopeso. 113.
113 ragazze magre magre magre. Alcune con i segni visibili dell'anoressia, rare. Altre con dei geni fortunati. Altre semplicemente in bilico. Esageratamente attente, ma non malate.
Già.
Quando si ha a che fare con una lingua ci si diverte molto. Esistono milioni di modi per approcciarla, e quindi puoi scegliere di studiare in maniera molto libera. Forse troppo libera. Perché se non si ha la forza di volontà necessaria si rischia di perdersi un po'. Bisogna possedere tenacia. Ma soprattutto, in questa scuola, bisogna possedere  una spiccata inclinazione verso manie perfezionistiche.
Perché il lavoro del traduttore o dell'interprete si basa su questo. Non è solo la conoscenza della lingua, ma l'uso che ne viene poi esercitato. La lingua dev'essere sviscerata, studiata, ingoiata e digerita, in ogni suo più inutile aspetto. Tutto dev'essere perfetto. Termine per termine.
Precisione. Precisione. Precisione.

E allora lì, in Aula Magna,  penso a questo quando arriva quella simpaticissima ragazza siciliana, che mi vede e mi saluta di sfuggita, con la sua mano scheletrica. E ci penso un'altra volta quando davanti è arriva quella di Padova, che si infila fra le file senza nemmeno dover scorrere di lato. E ancora, quando dopo, durante la lezione, una ragazza per fare una domanda alza il suo esile braccio. E ancora, mentre una bionda con una bella coda da un lato, e si piega sul foglio per scrivere, e allora penso di poterle contare le vertebre che sporgono dalla sua maglietta scollata.

E pensavo a questo, quando mi sono accorta della larghezza dei miei pantaloni, eppure del restante grasso accumulato sulle cosce. E pensavo a questo, quando mi sono accorta di non aver mangiato nulla a pranzo, e mi sono stupita quando mi sono resa conto di non avere nemmeno la minima intenzione di mangiare fino a cena.
Sì, perché non me ne rendevo mica conto tanto bene. Che prima era un "Devo risparmiare, non voglio pesare sui miei. E l'unica cosa sulla quale risparmiare è il cibo. Tesseriamoci al supermercato e cominciamo a fare la spesa intelligente". E in effetti non so dove fossi quando pian piano il costo della spesa settimanale è sceso da 40 a 18 euro. D'altronde non sono malata.

Che comunque io le guardo, tutte loro. Ma proprio tutte. Tutte belle. Che belle che siamo.E io lo so, che è così. Perché quasi tutte le donne hanno complessi sul loro corpo. Per i motivi più disparati, ma nessuna si piace mai completamente. E' inutile prendersi per il culo. E' così. Li percepisco ovunque, i loro imbarazzi. Non c'è bisogno di essere necessariamente malate per avere determinati tipi di complessi. Quindi lo so, che anche le obese appartengono a questo gruppo.
E io ho la sensazione di sentirmi un po' più a casa, un po' più autorizzata.
C'è competizione, c'è stizza, c'è puzza sotto il naso, c'è superbia, c'è zelo.
Ma c'è una sorellanza silenziosa. Una sorellanza che viene dalla disapprovazione più totale di noi stesse. Partendo dal corpo e finendo dalla testa. No, non è solo una questione di cibo. Non è affatto una questione di cibo. Io lo so cos'è. E' una forza inespressa.

Sì, questa è la nostra scuola, non c'è ombra di dubbio. Eppure non credevo.
Non credevo di essere così perfettamente sulla giusta strada da percorrere.

Finisce la lezione, esco dall'Aula Magna.
"Ciao Ari, ti va di venire in bar a prendere qualcosa?"
"Sì, vi faccio compagnia, ma non prendo nulla, fumo un paio di sigarette e basta"
"Eh... Infatti. Anche noi..."

sabato 17 novembre 2012

всего хорошего, ossia: tante belle cose.

Sono tornata. Credo definitivamente, visto che ormai ho una connessione internet stabile e non devo stare lì a contare i minuti sulla chiavetta. E' dura fare la fuorisede. E' bellissimo crearsi la vita.
Quindi.
Cosa faccio, cosa non faccio.
La mia casa è bellissima.
La gente qui si chiede come io faccia a vivere da sola a vent'anni. Loro si sparerebbero e si deprimerebbero. Io benedico la mia fortuna.
Sono malata, fumo tanto, mangio poco, cammino tantissimo. Ho una tosse che mi uccide. Dimagrisco, mi piace, soliti meccanismi, già lo so e già oggi che mi hanno cucinato un piatto di pasta e dei pancakes per cena mi è venuta l'ansia. Ma non fa niente.
L'università va bene. Ancora non ho cominciato con lo studio serio, scopro di non avere poi così tanto tempo per me, ma lo troverò.
Eppure certe volte un istinto naturale mi porta a fare nottata davanti ad alcuni testi giornalistici che voglio assolutamente tradurre. Così, senza motivo. E allora passo ore ed ore lì, e succede che si comincia ad entrare in uno stato confusionale assurdo, nel quale un turbinio di parole viene a soffocarti, e tu non riesci più a ricordare se quell'espressione suoni bene in italiano oppure no. Perdi il senso delle note, il senso del senso del senso del senso, inseguendo idiomi e prestiti. E allora mando a fanculo tutto, giro la pagina del giornale e mi metto a tradurre altro, velocissimamente, a vista, senza nemmeno guardare la tastiera. E poi mi addormento, e il giorno dopo la testa sembra essersi distesa. L'italiano è ancora mio. E allora rileggo e vedo  con altri occhi, correggo, e diventa tutto perfetto. Stampo i miei articoli e li attacco all'angolo della pagina dell'originale. Ho già finito il settimanale "Express", in preda ai miei scatti compulsivi. Ma mi piace. Eccome.

Ho trovato un bel locale. Ormai è diventata la mia tana. Vengono musicisti da ogni parte del mondo, ed io ascolto tutto gratuitamente. Nemmeno prendo da bere. Entro, ascolto e me ne vado. Cerco di andare ad ogni serata, ogni volta che posso. Anche da sola. Esco da lì con un bel sorriso stampato in faccia. La musica guarisce i miei sbalzi d'umore fin troppo frequenti. Per tutta la notte riesco a stare bene, in pace.
Ho le mie solite prove il sabato mattina, comincerò quelle teatrali domenica, e ancora non ho studiato le mie poche battute. Ma non è importante. Mi piace l'atmosfera. Mi piace tutto.

Sono contenta. Ancora non pienamente soddisfatta. Sono ancora in fase d'assestamento. Solo ieri mi sono ritrovata alle prese con la prima lavatrice della mia vita. Capirete anche voi che ne ho di strada da fare.
Mi manca studiare, sapere. Questa sensazione credevo di averla persa per sempre, ormai erano anni che rifiutavo in una maniera un po' borghese a mio parere, che non vi saprei spiegare bene, l'amore per lo studio. Eppure a me piace studiare. Ma ancora non posso farlo come voglio. Lo farò, sì.
E allora sarò contenta.

La vita scorre, io scorro. Non so dove sto andando. So solo che vado lontano. Che ogni giorno mi stacco. Che sono indipendente, e forte. Che non ho paura della solitudine e di tante altre cose per le quali ero intimorita se non terrorizzata, e che queste mie non-paure vengono riconosciute dagli altri, e li attraggono.

Io scorro, come un fiume in piena. Non mi fa male nulla, sono io. Sola di fronte al mondo.
E direi che mi sta andando piuttosto bene.
Sì. E' tutto ancora molto sotto un certo tipo di buon controllo.