martedì 13 agosto 2013

Da un'altra parte ma da un'altra parte.

Sono in questa Russia. Me ne stanno accadendo di tutti i colori. E stavolta ho deciso di coinvolgere anche la gente che conosco. E quindi ho spostato questi giorni molto strani da un'altra parte.

Eccoli, se volete:

http://fuorisedefuoriluogo.blogspot.ru/

Io cercherò di leggervi perché non so più nulla. No u menja ne vremja. Il tempo è quello che è.

venerdì 12 luglio 2013

Aggiorniamo la fottuta agenda del cazzo.



Insomma.
Domani, sabato 13 luglio ore 9.00: alle prove per lo spettacolo. Avrò una voce celestiale a quell'ora.
Domani, sempre: compleanno di Trentenne, che finalmente avrà trent'anni e così sarà più lecito chiamarlo Trentenne. Non ho fatto nemmeno un pensierino, oggi non mi andava di uscire di casa. Non so se ci vedremo. Non so nemmeno se gli scriverò qualcosa. Tipo un "Buon compleanno". Per sms magari. Oddio. Che schifo. Boh. Comunque prima o poi dovrò chiarirmi le idee al riguardo, perché questa relazione mi confonde parecchio.
Domani, ergo, impegni serali dubbi.
Dopodomani, domenica 14 luglio. Studiare come una folle. Preparare l'ansia da spettacolo, preparare l'ansia da esame. Ma ora ho un nuovo migliore amico. Si chiama Xanax.
Dopodopodomani, lunedì 15 luglio: studiare, ma tanto non lo faccio. Ore 20.00: dovremmo cominciare con questa farsa.
Dopodopodopodomani, martedì 16 luglio, ore 9.00: fottuto esame di merda. Che odio con tutto il cuore perché completamente inutile e per un mucchio di altre ragioni che non ho voglia di spiegare.

Dopodoché libertà. Saranno giorni vaghi, partirò quasi subito per Roma. Non torno a casa da sette mesi. Uao. Come passa il tempo quando ci si diverte. Avrò immense rotture di palle. Tipo: parenti da soddisfare, amici da soddisfare, amanti (...bah...) da soddisfare, luoghi da soddisfare. Libertà un cazzo.

E poi me ne vado un mese a San Pietroburgo. Da sola.
Perché io ce l'ho un casino nel sangue questo senso del pericolo. Sono una che l'istinto di conservazione ce l'ha proprio innato, eh.
Perché la Grande Madre Russia è un posticino tranquillo.

Ma io andrò. E sarà divertentissimo. E vi terrò aggiornati.
Ah, e se avete qualche dritta russa fate pure eh.
Vi lascio con questo splendido video.
Guardatelo, sul serio, è splendido. Sono orgogliosa di imparare la lingua di Grande Madre Russia, dovreste farlo anche voi.

Per il pane e per la pace.
(Sì, sono entusiasta, sì)


lunedì 1 luglio 2013

Arianna finalmente torna a casa.


No, non sono incinta. In realtà le possibilità erano scarsissime, ma come ben sapete io sono parecchio sensibile all'argomento e mi basta poco per allarmarmi. Tanto. Parecchio. Talmente tanto che non sono più riuscita a stare a casa mia, da sola. E allora ho fatto la valigia e me ne sono andata in un altro mio posto sicuro qui a Trieste, per una decina di giorni. In un'altra casa piena con due paia di mani pronte ad accarezzarmi, e sono riuscita finalmente a piangere urlando la mia storia.
Mi sono attivata. Ho l'ultimo esame da dare (a parte russo che slitta a settembre, perché la SSLMIT è pur sempre la SSLMIT, e 7 esami in due mesi non sono possibili), e non potevo permettermi di cadere un'altra volta per queste sciocchezze. Così sono andata da una bella neurologa che assomigliava tanto alla mia psicoterapeuta di Roma. Mi ha dato un po' di cosine buone per l'ansia e qualche recettore della serotonina. E così, piano piano, salgo su. Non proprio, ma almeno non ho attacchi pazzeschi ora.
Quella casa l'ho dovuta lasciare un po' di giorni fa. Mi sono sentita subito male. Così mi sono rifugiata dal mio Trentenne, almeno per la prima notte. Ora sono autosufficiente e riesco a stare da sola. Faccio anche le lavatrici.

E quindi. Visto che ho ricominciato a scrivere qui e l'entrata non è stata delle più felici, vi racconterò una bellissima storia.
La storia di Arianna che approda sull'isola di Creta dopo tanti anni di esilio.

Un giorno di qualche tempo fa il Trentenne, nonché mio capo, mi chiede: "Senti, ma ti va di venire a Grado con me?"
Io, che sono un San Bernardo e quindi amo quando mi si porta a spasso fuori non ci penso due volte: "Certo! E cosa andiamo a fare a Grado?"
"Ho un'isola". Una piccola isola nella laguna gradese. I nonni erano pescatori.
E così rubiamo la macchina di un suo amico e partiamo. Mettiamo su la musica del gruppo che abbiamo scoperto insieme (in realtà gli ho detto io di prestarci attenzione mentre lui stava chiacchierando, ma non lo ammetterebbe mai) e cominciamo la nostra ora di viaggio. Un viaggio che incrocia il mare e si perde per quelle pianure che ancora, nonostante i mesi passati qui, continuano ad avere uno strano effetto su di me. Abbandoniamo la macchina. Una breve salita a piedi e d'improvviso l'acqua. Una barca. Dei remi strani.
Perché sì, a Grado vogano in un modo strano. Sono in piedi, e la forcola è come se fosse tagliata a metà e ci vuole una particolare tecnica per muoversi, altrimenti rischi di perdere il remo. Io non sono mai salita in barca. Sono tutta emozionata. Vedo queste isolette, ci passiamo attraverso, l'acqua piatta, il sole a picco, solo il rumore del nostro movimento.

Ed eccola, la piccola isola. Mi arrampico sulle assi di legno del piccolo molo con la fatica impacciata della cittadina, e comincio a guardarmi intorno. Uno spiazzo, una lunga tavolata, e poi tre piccole casette. Una con il camino, un cucinino e un'altra con un paio di camere. La cucina è bellissima, perché è fatta a vetri. Una specie di corridoio lungo, e per tutta la lunghezza questa finestra gigantesca che da sull'acqua. Sembra di essere dentro una nave. E' tutto diroccato, tirato su alla meno peggio. E' tutto bellissimo. Intorno invece c'è erba, tanta erba, ed alberi, e anche un cespuglio di rose. E dietro ancora una parte coperta, io lo chiamo il "parcheggio delle barche", non ho idea di come poterlo spiegare. Faccio il giro dell'isoletta circa cinque volte, trovo immediatamente il mio posto preferito. Una punta rialzata che sporge più delle altre. Mi metto in bilico, lì, sotto di me il mare, e mi guardo intorno. Una calma mi assale. Mi prende alla gola.
Mai ho provato una sensazione di pace e tranquillità maggiore. Tutto è sereno, lì. Mangiamo, beviamo un paio di birre, ci facciamo un paio di canne, ci sdraiamo sul molo. Ci parliamo poco. Io non ne ho voglia, ho solo voglia di stare lì ad ascoltare.
E l'unico suono da ascoltare è quello dell'acqua. Acqua ovunque. Lo scroscio dell'acqua sotto le assi di legno, sotto di me, il rumore della fontana che non smette mai di esplodere davanti a me, quello dell'acqua sull'acqua causato dalle ali dei cigni pronti a spiccare il volo, lontano da me. Non avevo mai visto un cigno volare prima d'ora.
Mi sembra di poter capire la pace. No, non penso di poterla sentire o provare. Solo di capirla.
Il pensiero della morte mi sfiora per un attimo. Sì, per un attimo penso di voler morire.

Il Trentenne mi prende la mano, di tanto in tanto. Io mi avvicino e sfioro la sua guancia con tutto il mio viso, affondando le dita nella sua barba, poi lo bacio delicatamente sulle labbra. Ma in realtà ci tocchiamo poco.
Nell'isola c'è tanto da fare. Molto da lavorare. Infilo le mani nella terra, scavo, sorrido. Mi piace. Strappo le erbacce, pulisco per terra.
Arriva la sera ma è il tempo ad essere strano e velocissimo, nonostante l'immobilità di quel posto. Un sole scende a metà dentro l'acqua. Un riflesso perfetto. Il mondo capovolto, rosa, arancione, in basso e in alto. E' ora di andare. Ma si alza un vento fortissimo. La corrente decide di renderci le cose difficili.
Ci mettiamo tantissimo ad arrivare dall'altra parte. Intanto i pesci saltano. Il Trentenne mi giura che una notte tutti quei pesci si erano buttati proprio dentro alla barca, mentre stava vogando. Io lo ascolto ma non rispondo. Mi giro e gli do le spalle, dico addio all'isola di Creta con la commozione di una regina che sta abbandonando il suo popolo. Salgo su un altro molo, pronta ad infilarmi in macchina.

I viaggi di ritorno a me piacciono tantissimo. Portano con loro la malinconia del viaggio. La stanchezza, ma anche quei pochi rimasugli di serenità che sono ancora lì, tutti pronti da rivivere con calma in quei chilometri percorsi troppo velocemente. Quando arriviamo a Trieste gli dico che voglio viaggiare ancora un po'. Facciamo qualche giro. Poi mi rassegno. E l'isola ora non c'è davvero più.

E' strano come il destino faccia incontrare le persone. L'uomo con l'isola e la fanciulla Arianna.
Ed è strano come io qualche volta pensassi che il Trentenne avesse degli atteggiamenti molto simili a mio padre.

Forse quella è stata veramente la mia isola. In un altro mondo, in un'altra epoca, in un altro tempo.

Vedete? Qualche volta faccio anche delle belle cose, io, oltre alle cazzate.

sabato 15 giugno 2013

Chi non muore si ripete.

Mh.
Sì, ancora sono qui, in realtà.
E' che faccio cazzate su cazzate.

Vi ricordate che in un post parlavo delle mie due future vittime, l'intellettuale e il trentenne?
Ecco, mi sono buttata sul secondo.
E' stata una cosa lunga ma ben elaborata.
E come al solito finisce che poi alla fine mi faccio fregare dal mio stesso gioco.

Non ho avuto nessun altro fra lui e il francese del luglio scorso. Pensavo di aver superato tutto ma con lui sono tornate tante paranoie. Sarà che poche settimane fa passò un anno da "quello", la cosa che non riesco più a nominare. Sarà che vedo rimandi ovunque. Ma io scopro ogni giorno di essere stata seriamente toccata dal "fatto".
Soprattutto ora che ho il timore che il "fatto" possa ripetersi.

Sì, sono una cretina.
Lo so. Stavolta, se sarà veramente così, me lo merito.
Sono una povera scema, un'inetta, una che non impara mai. Alla fine dei giochi, svelata la maschera, sono la solita sottomessa, debole, incapace di affrontare la vita.

Ho paura. Stavolta io non so se ce la farei ad affrontare tutto con quel tipo di forza e determinazione. Non lo so proprio.
Mi odio tantissimo. Vorrei far scomparire il mio corpo una volta per tutte.

Oh, che bel rientro in scena, eh?
Fossi in voi mi manderei a cagare.

sabato 16 febbraio 2013

You're an angel, I'll keep you from harm, talk to me sweetly, break both my arms.


Sono guarita. Fortunatamente non devo più operarmi.
Sono fuori di testa. Non dormo properly da due notti. Mi sembra di perdere tempo.
E io ho i miei ritmi. Ho 100 verbi irregolari russi da imparare, pur sapendo che il compito si baserà su altri. "L'importante è che sappiate le regole". Quindi io so 100 verbi russi, e il compito andrà male lo stesso.
Sono state due settimane di "pausa" dall'università, che sommate a quelle della malattia... Insomma, più di un mese dentro casa. Assurdo.
Ai miei non ho detto nulla. Avevo paura mi chiedessero di tornare, e io a Roma non voglio tornare.

Dicevo, sì. Sono fuori di testa. Passo poi la notte a fare dettati di francese, e poi mi metto a disegnare. Comincio verso le 2 circa di solito. Metto lui, il mio cantante, in sottofondo e il tempo comincia ad assumere forme strane. In un secondo arriva l'alba. Improvvisamente vedo la luce arrivare, e allora è come se mi svegliassi da una trance. Guardo la finestra, poi guardo il foglio. Poi guardo la mia mano sinistra. Le dita sporche di carboncino e matita e penna e pennarello. Segni neri in faccia. Un bicchiere pieno di sigarette. Dove sono?

Mi viene l'ansia. Ora non posso dormire, sono le 8 di mattina. Bevo tre tazze di tè. Guardo un film degli anni '60 in francese che mi ha passato un mio amico hipster,, ma scopro che mi annoia, è troppo lento. Dopo mezz'ora spengo. Vado su Internet, controllo le mail, dei Couchsurfers vorrebbero venire a Trieste. Una francese. Sarebbe bello ospitare una francese. Chissà. E' che in mezzo ho degli esami. Un russo. Sarebbe bello ospitare un russo. Ma dei russi non mi fido molto.
Controllo i turni per le serate di venerdì e sabato della mia tana. Nessuno si è messo per il turno di sabato, mi offro io e mando una mail al boss. Fisso l'anta di vetro della libreria, intontita, e poi un'idea mi fulmina. Farò dei disegni e li attaccherò dietro al vetro, così non si vedranno tutti quei libracci scolastici.
Ma non ora, devo ponderare.

Prendo i miei tre disegni. Prendo uno dei due quadri a terra comprati da Ikea a Villesse nei quali misi due poster del mio amato Mucha comprati a Praga. Apro quello che non ha le lunghezze giuste per il poster. Ci metto i miei tre disegni, lo appendo al corridoio. Prendo altri poster, di Klimt, anche se Klimt non mi piace, di Schiele, anche se è pornografico. Attacco tutto al muro.

Mi siedo per terra, all'entrata. Guardo tutto quello che c'è e lo annoto. Attaccapanni, specchio, quadro, armadio, finestra, scarpe, ombrello... Mi sposto. Prendo quattro dizionari. Vado in camera e mi siedo sul tappeto. Cerco tutte le parole in francese, inglese, norvegese e russo. Le scrivo su dei post it colorati e li attacco sulle cose.

Pulisco la cucina. Mi cade tutto il tè per terra. Lascio così, ci passo coi piedi sopra, non m'importa. Sto finendo il cibo, ma ho ancora le barrette. Sti cazzi. Sto finendo le sigarette. Devo uscire, sì. Cazzo, che palle.

Alle 12 posso cantare. Prendo gli accordi delle canzoni di lui, prendo la chitarra, mi metto in bagno, che l'acustica è migliore. Suono, canto. La voce è roca, è stanca, nemmeno lei in fondo ha dormito. Ma mi piace. Poi ricanto la stessa canzone una seconda volta e mi fa schifo. Mi arrabbio. E allora suono Gnossienne n1 su quel pianoforte scordatissimo, e mi viene in mente il film Paris di Klapisch, e poi mi viene in mente che anche in quel film francese di quattro ore fa c'era lo stesso pezzo.

Chiudo gli occhi mentre la suono. Sì, Gnossienne è facile, posso permetterlo. E con gli occhi chiusi torno a certe sensazioni e alle strade di Parigi, le mie e quelle di tutti i registi e gli scrittori incontrati sulla mia via.
Poi ascolto della musica norvegese e cerco di cantare in norvegese. E' divertente.

Continuo a studiare russo. Parlo con un paio di amiche, mia zia mi chiama, mia madre mi chiede cos'ho fatto di bello all'università via skype, io le dico un sacco di cose. Guardo un telefilm stupido in inglese, ma a me fa tanto ridere. Leggo La danza di Natasha di Figes. Ho l'ansia perché non sto studiando tanto, in fondo.

Mi metto alla scrivania. Prendo un foglio e scrivo una cosa che volevo scrivere da tanto tempo, ma ora già non la ricordo più molto bene. Arrotolo il foglio e lo lascio cadere dentro una delle decine di bottiglie di vino che ho conservato. Prendo uno dei dieci tappi che ho conservato, chiudo la bottiglia e la metto sull'armadio di fronte all'entrata. La bottiglia sembra comunque vuota. Sorrido. Mi sembra un gioco perverso. Chiunque entri qui sfiorerà una delle mie più intime considerazioni ed emozioni, e nemmeno se ne accorgerà.

Mi metto a letto. E metto la sveglia fra tre ore.
Mi sveglio e sono sveglissima e passo l'aspirapolvere.

Il cielo si fa più scuro. Bevo altro tè. Gli occhi sempre più aperti. Guardo il festival, un po' non lo guardo. Bevo tè bevo tè bevo tè.

Leggo delle cose sulla storia e la teoria della traduzione, mi stufo quasi subito.
Si fanno le due.


La sua musica mi viene a chiamare.
Tutto ricomincia. Un'altra volta.

Sono fuori di testa
Sono fori nella testa
Suono fiera alla festa

Sto facendo alcune considerazioni importanti. Magari poi le dirò anche, fra un po'.

Sto diventando pazza.

Mi piace. Me ne compiaccio.

lunedì 4 febbraio 2013

Ti scrivo una poesia, ma io non so scrivere poesie.



Ancora tengo con me quel filtro arrotolato dentro ad un biglietto della metropolitana di Milano,
che nascondesti nelle fessure dei grandi sassi della casa di un paese della Toscana.
Il mio posto.

 Del mio posto ti parlai sopra un letto sotto le assi di un legno che strideva dal dolore,
circondato da un bosco pieno di puttane
e da scogli di terra
e da sogni spezzati e rinati ed ancora spezzati
e fiori profumati del maggio che si trovava alle porte di una Roma troppo stretta per noi.
Ma soprattutto per me.
Ti parlai dei miei anni nel calore dell’infanzia,
degli incubi che mi soffocavano nei suoi vicoli e dei gatti che mi seguivano nelle piazze,
dei bambini dai quali scappavo, intimidita
e che nessuno in quel paese era mai arrivato con me.
Chiudevo gli occhi e sfioravo la tua mano, e il buio di quel maggio ci entrò dentro
esattamente come tutte le altre notti della nostra vita.
Ti parlai del mio paese
ti parlai dei miei viaggi che avrei compiuto nel gelo sceso sui miei vent’anni,
e ti svelai, stringendo la mia voce al tuo orecchio,
che non sarei più tornata.

 Noi non ci amiamo.
Lo sigillammo con un bacio.

 Attraversai le montagne col nostro giuramento stretto fra le labbra
Mi infilai nelle città degli altri nelle vite degli altri nei letti degli altri.
Attraversai il mare con la nostra promessa rinchiusa fra le palpebre degli occhi
Lasciai cavalcare il imo spirito fra le foreste dell’Inghilterra
attenta a non ferirmi le braccia con i suoi rami, attenta a non cadere sulle sue radici
Ma un vento nato dai tuoi respiri mi parlò di te
E di come giungesti alle colline silenziosamente
Ed io corsi per miglia fino alle alte mura,
fino alle fessure dei grandi sassi,
con la nostra bugia stretta in un pugno.
Nessuno era mai arrivato lì con me
e  tu eri già sparito.

 Stringevo il tuo filtro ed in bocca avevo già il mio,
seduta sugli ultimi gradini della fortezza.
Le labbra secche, gli occhi vuoti, le mani insanguinate.
Il mio posto violentato dalla tua presenza, i miei incubi ormai svelati a te.
Tenni il tuo filtro ed il mio lo gettai lontano, regalandolo al tramonto.
Mio padre posò la sua lacrima sulla mia spalla e mi sussurrò che era tempo di andare
Tempo per me di non tornare mai più.
Percorsi le strade del disgelo di settembre.
Il vento di questa città mi parla ancora,
il vento del nord continua a usare la tua voce
Gioca a torturarmi.

 Accendo una sigaretta e penso al tuo filtro avvolto in quel biglietto.
Dentro c’è il nostro egoismo, la nostra paura
Dentro ci sono i mesi dell’assenza, della distanza.
Dentro ci sono tutte le stagioni che non abbiamo mai vissuto
Persino quella di stanotte.
La neve di Trieste, la pioggia di Roma.
Quella Roma che mi soffocava,
Quella Roma che dentro ha te,
L'unica cosa che mi da respiro.

 Io ho viaggiato tanto. Ho lasciato tanto.
Eppure, penso alla tua bocca, e trattengo un sorriso.
Io, a Milano, non ci sono mai stata. 

venerdì 25 gennaio 2013

Ridere. A dirotto.

Io non posso crederci!
Sì, qui bisogna ridere! As-so-lu-ta-men-te!
Ridere in faccia alla mia vita, ridere in faccia al mio destino e all'ironia di questa sorte così pazza ed imprevedibile!
Sì, bisogna ridere tanto.
A dirotto, come dice una certa persona.

Perché, sapete, io non so cos'altro fare, ve l'assicuro! Io non so se tutto sarà sempre così dinamico e confuso e velocissimo, ma se è così sarà veramente interessante!

C'è una forza oscura, o benefica, o comunque superiore, che mi sta mettendo alla prova in un modo pazzesco.
Ma guardate, ragazzi, queste non sono semplici interpretazioni, è la pura verità. La Verità, cazzo! C'è qualcosa o qualcuno che mi pensa, non so che progetti abbia per me, ma sicuramente si diverte tantissimo. Quindi perché non dovrei divertirmi anch'io, davanti ai miei fatti della vita?

Davanti ad i miei io, io, me, io, moi, je, ja, me, i, jeg, ich. Secondo me la prendo nel verso sbagliato. Non ho l'ironia giusta, non ho un senso dell'umorismo adeguato alle situazioni. Secondo me vogliono solo farmi tanto ma tanto ridere.
Secondo me qualcuno vuole che io gioisca. Che io sorrida.

Amaramente, ma sorrida. E questi miei sorrisi sono i più puri e sinceri che possano esserci.

Perché io non posso proprio crederci! E' tutto così circolare, la storia si ripete, sempre, su piani quinquennali. Ed è tipo-cioè-regà-mo-ve-lo-dico-n'attimo-ve-lo-sto-a-dì TROPPO 'N TAJO ve-l'ho-detto.

Ed è divertentissimo il fatto che io, dopo tre anni, abbia avuto una ricaduta! AHAHAH! Stupendo! Esilarante!
E' divertentissimo il fatto che io, dopo tre anni, dovrò incontrarmi ancora con un casino di dottori! MA vi rendete conto? Cambia lo scenario, adesso qui c'è il mare, ma la storia si ripete! Chi lo diceva, Vico? Vico è un fottuto genio!
E' divertentissimo il fatto che io, dopo tre anni, debba nuovamente soffrire le pene dell'inferno ed un dolore fisico pressoché intollerabile!
E' divertentissimo il fatto che io, dopo tre anni, dovrò operazioni un'altra volta!
Ed è divertentissimo il fatto che la mia vita si fermi di nuovo, per mesi e mesi! Mesi e mesi a casa, mesi e mesi di malattia e di prognosi e di cure e di recupero e di guarigione e di farmaci e di letto e di tutto!

E poi vengono a dirmi che io sono la solita ragazzetta che ha problemi ad accettare il proprio corpo. E GRAZIE AL CAZZO. Mi prende per il culo! Come posso prenderlo sul serio??? Direi che sono più che giustificata! E ringraziate anche il fatto che non me la prenda troppo con mia madre, che mi ha creata così debole e piena di robe congenite di merda! Anzi, troppo matura sono!

La mia vita è incredibilmente assurda! Una fottuta pagliacciata! Una delle ultime commedie di basso livello!

Ma cazzo, non ci vedete un'ironia strabiliante in tutto ciò? Sono due giorni che soffro come un cane eppure rido come una pazza! Una fottuta pazza!

RIDETE A DIROTTO CON ME, CAZZO.

lunedì 21 gennaio 2013

I fatti dentro ai fatti dentro ai fatti.

Mettiamoci il fatto che io adesso fra le mie mani avrei dovuto avere un bambino. Uno di quelli che non vorresti mai. E infatti non c'è.
Ma questo fatto lo mettiamo in realtà subito da parte. Che non so se mi va di scriverne ora.

Va un po' meglio. Perché?
Che cazzo di domanda è "perché"? E allora perché prima andava peggio? E chi lo sa? Non si sa.
C'è però una risalita. Non so se sarà costante eh.
Credo che probabilmente questa salita mi darà giusto l'energia necessaria per combinare un paio di casini.

Un giorno un ragazzo di facoltà col quale scambiavo sì e no due saluti mi scrive una sera dicendo che vuole venire a casa mia. Posso? Se mi dici dove abiti ti raggiungo.
Sì, prego. Anche perché se sei un altro che pensa di potermi scopare così facilmente sono ben felice di mostrarti quanto tu abbia sottovalutato la tua "preda". Insomma, se mi vuoi fregare ti devi impegnare, mica è così semplice. Vieni nella tana del lupo, che ti insegno io come si sbrana.
E lui entra e mi sembra la scena di un uomo che torna a casa dal lavoro.
Poi mi dice che mi farà ascoltare delle canzoni perché una come me non può non capire il grande disegno che si trova dietro all'elettronica e che mi farà avere il mensile sul quale scrive e che lui vuole diventare come Lello Voce e che deve assolutamente andare a vivere per un periodo a Parigi. Io gli faccio ascoltare delle canzoni perché uno come lui non può non capire il grande disegno che si trova dietro all'ambient e che gli farò avere il mensile sul quale scrivo e che voglio diventare come Keaton Henson e che devo assolutamente andare a vivere per un periodo a Parigi. Dopodiché ci sediamo per terra a bere vino da due soldi e a farci le canne continuando a parlare di roba molto intellettuale.
Ed è già la terza volta che accade tutto ciò. Non ci cerchiamo se non per vederci. Poi ci vediamo, prendiamo quei momenti e ce ne torniamo sulle nostre strade. Ed io non ne capisco bene il senso in realtà. Ci incontriamo a casa mia e ci parliamo come se fossimo amici di vecchia data.
Inutile dire che questa cosa mi piace. Mi stuzzica la testa in un modo anche un po' perverso.

Dopodiché mi sono scelta per compagno di giochi anche il mio "capo". E infatti io ci sto giocando parecchio.
Ma proprio alla grande.
Lui però ancora non si è accorto di quanto io lo stia prendendo in giro. E' che mi piaceva la grande sfida, riuscire a smontare le certezze di un uomo di trent'anni così sicuro di sé ed apparentemente equilibrato.
Ma diamine... E' fin troppo facile. Pensavo di dovermi impegnare almeno un po'. E invece il suo punto debole risiede nell'ego smisurato che possiede. E nelle insicurezze e ansie che portano manie di controllo, ed il suo essere compulsivo, e i suoi problemi nel riconoscere l'autorità e le manie di protagonismo. Basta dargli il la e ti sciorina tutta la sua vita. E tutti i suoi punti deboli, senza nemmeno accorgersene.
Quando sono entrata nel locale l'altra sera ha cominciato a sudare. E poi lì a chiedermi se il gruppo mi fosse piaciuto. E poi lì a stare fino alla mattina successiva a parlare. Di lui, ovviamente, senza che se ne rendesse conto. Ma anche lui è da apprezzare. Mi fa conoscere della musica veramente grandiosa. E' un appassionato, è uno che si è creato il suo piccolo regno, è uno da rispettare, forse, in un certo senso. Diciamo pure che se certe volte non mi prendessero gli attacchi da stronza, lo rispetterei anch'io.


Insomma... Mettiamoci dentro anche un altro fatto, legatissimo al primo di tutta la questione:

fatto sta che io voglio fare male a qualcuno. Una voglia matta. Sconsiderata. E lo ritengo un passo importante, visto che di solito faccio male a me stessa. Eh no. Stavolta tocca a qualcuno. Mi sto salvaguardando. Vedete che brava che sono? Mi prendo cura di me. E faccio male ad un altro.

Devo solo scegliere a chi dei due.

...Anghingò tre civette sul comò...

lunedì 14 gennaio 2013

Sta arrivando. Di nuovo.


Mi attacca, di nuovo.
Notti in bianco.
Forse è colpa di Keaton Henson. Sicuramente è colpa sua.
Non ho voglia di studiare. Non ho voglia di mangiare, non ho voglia di dormire, non ho voglia di fare nulla.
Ascolto ripetutamente le sue canzoni, quando finisce l'ascoltabile suono Gnossienne n1 e non arrivo mai all'accordo finale, continuo per ore ed ore senza fermarmi. Una litania. Una tragedia.
Ci sono delle lacrime che verso. Quando lo ascolto. E questo potrebbe andar bene. Ma  anche quando faccio la lavatrice. E questo sicuramente non va bene.

Forse sta tornando. Ho paura, sono molto allarmata.
Sentivo la forza, prima. Ora... Mi sembra di non averla più. Ho dimenticato come si fa a fermare questa cosa.

Non voglio tornare laggiù. Non voglio tornare in quelle parti della mia testa. Non voglio sprofondare come ho fatto l'anno scorso. Esattamente un anno.
Non voglio fallire di nuovo, ma non so come fare.

Cosa diamine ho che non va? Perché sono sempre così sbagliata in ogni situazione?
Sarò infelice a vita. E sarà solo colpa mia.

Ho paura.

P.S.: Quel disegno è l'unica cosa che sono riuscita a fare oggi. Si chiama Una Celebrazione. Mi sono celebrata così, perché c'è ancora dell'autocompiacimento nel mio malessere. Finché c'è quello niente sprofonda del tutto.