lunedì 1 luglio 2013

Arianna finalmente torna a casa.


No, non sono incinta. In realtà le possibilità erano scarsissime, ma come ben sapete io sono parecchio sensibile all'argomento e mi basta poco per allarmarmi. Tanto. Parecchio. Talmente tanto che non sono più riuscita a stare a casa mia, da sola. E allora ho fatto la valigia e me ne sono andata in un altro mio posto sicuro qui a Trieste, per una decina di giorni. In un'altra casa piena con due paia di mani pronte ad accarezzarmi, e sono riuscita finalmente a piangere urlando la mia storia.
Mi sono attivata. Ho l'ultimo esame da dare (a parte russo che slitta a settembre, perché la SSLMIT è pur sempre la SSLMIT, e 7 esami in due mesi non sono possibili), e non potevo permettermi di cadere un'altra volta per queste sciocchezze. Così sono andata da una bella neurologa che assomigliava tanto alla mia psicoterapeuta di Roma. Mi ha dato un po' di cosine buone per l'ansia e qualche recettore della serotonina. E così, piano piano, salgo su. Non proprio, ma almeno non ho attacchi pazzeschi ora.
Quella casa l'ho dovuta lasciare un po' di giorni fa. Mi sono sentita subito male. Così mi sono rifugiata dal mio Trentenne, almeno per la prima notte. Ora sono autosufficiente e riesco a stare da sola. Faccio anche le lavatrici.

E quindi. Visto che ho ricominciato a scrivere qui e l'entrata non è stata delle più felici, vi racconterò una bellissima storia.
La storia di Arianna che approda sull'isola di Creta dopo tanti anni di esilio.

Un giorno di qualche tempo fa il Trentenne, nonché mio capo, mi chiede: "Senti, ma ti va di venire a Grado con me?"
Io, che sono un San Bernardo e quindi amo quando mi si porta a spasso fuori non ci penso due volte: "Certo! E cosa andiamo a fare a Grado?"
"Ho un'isola". Una piccola isola nella laguna gradese. I nonni erano pescatori.
E così rubiamo la macchina di un suo amico e partiamo. Mettiamo su la musica del gruppo che abbiamo scoperto insieme (in realtà gli ho detto io di prestarci attenzione mentre lui stava chiacchierando, ma non lo ammetterebbe mai) e cominciamo la nostra ora di viaggio. Un viaggio che incrocia il mare e si perde per quelle pianure che ancora, nonostante i mesi passati qui, continuano ad avere uno strano effetto su di me. Abbandoniamo la macchina. Una breve salita a piedi e d'improvviso l'acqua. Una barca. Dei remi strani.
Perché sì, a Grado vogano in un modo strano. Sono in piedi, e la forcola è come se fosse tagliata a metà e ci vuole una particolare tecnica per muoversi, altrimenti rischi di perdere il remo. Io non sono mai salita in barca. Sono tutta emozionata. Vedo queste isolette, ci passiamo attraverso, l'acqua piatta, il sole a picco, solo il rumore del nostro movimento.

Ed eccola, la piccola isola. Mi arrampico sulle assi di legno del piccolo molo con la fatica impacciata della cittadina, e comincio a guardarmi intorno. Uno spiazzo, una lunga tavolata, e poi tre piccole casette. Una con il camino, un cucinino e un'altra con un paio di camere. La cucina è bellissima, perché è fatta a vetri. Una specie di corridoio lungo, e per tutta la lunghezza questa finestra gigantesca che da sull'acqua. Sembra di essere dentro una nave. E' tutto diroccato, tirato su alla meno peggio. E' tutto bellissimo. Intorno invece c'è erba, tanta erba, ed alberi, e anche un cespuglio di rose. E dietro ancora una parte coperta, io lo chiamo il "parcheggio delle barche", non ho idea di come poterlo spiegare. Faccio il giro dell'isoletta circa cinque volte, trovo immediatamente il mio posto preferito. Una punta rialzata che sporge più delle altre. Mi metto in bilico, lì, sotto di me il mare, e mi guardo intorno. Una calma mi assale. Mi prende alla gola.
Mai ho provato una sensazione di pace e tranquillità maggiore. Tutto è sereno, lì. Mangiamo, beviamo un paio di birre, ci facciamo un paio di canne, ci sdraiamo sul molo. Ci parliamo poco. Io non ne ho voglia, ho solo voglia di stare lì ad ascoltare.
E l'unico suono da ascoltare è quello dell'acqua. Acqua ovunque. Lo scroscio dell'acqua sotto le assi di legno, sotto di me, il rumore della fontana che non smette mai di esplodere davanti a me, quello dell'acqua sull'acqua causato dalle ali dei cigni pronti a spiccare il volo, lontano da me. Non avevo mai visto un cigno volare prima d'ora.
Mi sembra di poter capire la pace. No, non penso di poterla sentire o provare. Solo di capirla.
Il pensiero della morte mi sfiora per un attimo. Sì, per un attimo penso di voler morire.

Il Trentenne mi prende la mano, di tanto in tanto. Io mi avvicino e sfioro la sua guancia con tutto il mio viso, affondando le dita nella sua barba, poi lo bacio delicatamente sulle labbra. Ma in realtà ci tocchiamo poco.
Nell'isola c'è tanto da fare. Molto da lavorare. Infilo le mani nella terra, scavo, sorrido. Mi piace. Strappo le erbacce, pulisco per terra.
Arriva la sera ma è il tempo ad essere strano e velocissimo, nonostante l'immobilità di quel posto. Un sole scende a metà dentro l'acqua. Un riflesso perfetto. Il mondo capovolto, rosa, arancione, in basso e in alto. E' ora di andare. Ma si alza un vento fortissimo. La corrente decide di renderci le cose difficili.
Ci mettiamo tantissimo ad arrivare dall'altra parte. Intanto i pesci saltano. Il Trentenne mi giura che una notte tutti quei pesci si erano buttati proprio dentro alla barca, mentre stava vogando. Io lo ascolto ma non rispondo. Mi giro e gli do le spalle, dico addio all'isola di Creta con la commozione di una regina che sta abbandonando il suo popolo. Salgo su un altro molo, pronta ad infilarmi in macchina.

I viaggi di ritorno a me piacciono tantissimo. Portano con loro la malinconia del viaggio. La stanchezza, ma anche quei pochi rimasugli di serenità che sono ancora lì, tutti pronti da rivivere con calma in quei chilometri percorsi troppo velocemente. Quando arriviamo a Trieste gli dico che voglio viaggiare ancora un po'. Facciamo qualche giro. Poi mi rassegno. E l'isola ora non c'è davvero più.

E' strano come il destino faccia incontrare le persone. L'uomo con l'isola e la fanciulla Arianna.
Ed è strano come io qualche volta pensassi che il Trentenne avesse degli atteggiamenti molto simili a mio padre.

Forse quella è stata veramente la mia isola. In un altro mondo, in un'altra epoca, in un altro tempo.

Vedete? Qualche volta faccio anche delle belle cose, io, oltre alle cazzate.

11 commenti:

  1. Ne fai tante di cose belle. Devi solo imparare a guardarle con occhi nuovi.

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    1. Faremo gli occhiali così! Faremo gli occhiali così!

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  2. Deve essere stato bellissimo.
    Io mi sarei sentita male in barca considerato che non so nuotare.
    Le cazzate le facciamo tutti, altrimenti non saremo umani.

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    1. Non sai nuotare? Lo sai che sei la prima che conosco che non sa nuotare? Come mai non sai nuotare?

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    1. Quando mi ci metto di buzzo buono... E ora, in vista, una bella gita notturna fra le spiagge di Grado.

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  4. Stato l'anno scorso a Creta.
    Bella Bella.
    Enorme. Spiazzante. Selvaggia. Salata.
    Bella.

    Certo tutta sta cosa pe na pomiciata..

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    1. Dubitavi forse che la mia isola non fosse bellissima? Eh.
      Comunque no. Visto che mi ci fai pensare ora, a questo punto sarà stato tipo il contentino per avergliela data la notte prima, immagino.

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    2. Esistono contentini peggiori.
      E sai quanto mi costa dirlo.

      (Spero tu gliel'abbia calata da vera donna)

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    3. E cazzo oh. Scusami ma questo è un signor Contentino. Un'isola. Eh. Porca puttana. Credo che il massimo che tu abbia fatto sarà stato un caffè a letto la mattina e un "sto facendo tardi a lavoro, usciamo insieme, tiè, pigliati sto cornetto, un bacio, ti chiamo io".

      E comunque come gliela si cala da vera donna? Esplicami.

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