giovedì 5 luglio 2012

Il perpetuo ricordo della conclusione di uno stato interessante.

Ultimo atto.
Come l'ultima volta. Casa di G. Notte. In tre in un letto da una piazza e mezzo. Il sonno non arrivava, no, o quando lo faceva, se ne andava di fretta. Il calore, l'immobilità. La luce lampeggiante nel corridoio, la sveglia della madre, che è sordomuta, e la mette due ore prima per abituarsi alla luce. Sono andata al bagno. Avevo voglia di bere, ma non potevo. "Da mezzanotte in poi fai come se non avessi la bocca: niente cibo, niente sigarette. Niente acqua".
Tornando, mi sono fermata a guardarle, sotto quella luce lampeggiante. F al lato e su un lato. Uno spazio, poi G. Poi una spanna di letto, il mio lato. Ho sorriso. Avrei voluto far loro una carezza. Mi sono infilata nel mio lato ristretto, e ho atteso. Ogni tanto una ginocchiata di G, ogni tanto una mano che mi sfiorava le guance. Chissà cose sognava. Chissà se sognava, o è una sorta di istinto, il suo, che la fa avvicinare alle persone anche durante il sonno.
Non avevo ansie, non avevo paure. Volevo liberarmi, finalmente.

Mattina. Come l'ultima volta. Il corridoio. Gli ultimi abbracci. Poi dentro altre cinque donne. Una la riconoscevo, era una ragazza vestita molto bene, che era sempre accompagnata dal suo fidanzato rasta e trasandato. Lui se ne stava là, per tutto il tempo, in sala d'attesa, ad aspettarla. Mi sembravano così teneri.

Ci chiamano subito. Tre di qua, tre di là. Noi giovani in una stanza, loro attempate in un'altra.
Spogliatevi, mettetevi il pigiama.
Mettetevi a letto.
Non parliamo. Tutta la recita dell'altra volta non c'era. Troppo faticoso, e inutile, in quel momento. Nessuna ne aveva voglia, eravamo tutte concentrate sul nostro cervello, il nostro cuore, la nostra pancia, e le nostre pareti ospedaliere.
Io dormicchiavo, perchè il tempo intanto passava.
Poi l'agocanula, la bella sensazione dell'ago che entra.
Passa un'ora.
Poi l'ovulo. L'ovulo per dilatare l'utero.

"Una volta inserito, non si può più tornare indietro, dovete essere sicure"

Io non la volevo, quella specie di supposta. Invece me ne sono stata zitta a guardare il soffitto mentre già allargavo le gambe.
Un'altra ora. Perchè deve fare effetto. Intanto ci hanno fatto vestire di tutto verde, e noi lo facevamo molto lentamente, per far passare il tempo. Le altre si lamentavano per l'agocanula, ma era esclusivamente per far passare il tempo.
Avevo sonno, avevo una sensazione strana addosso. Quel silenzio, quella concentrazione. Quei minuti di meditazione, come a voler dargli un significato, a voler farci cogliere la gravità della situazione.

La prima sono stata io. Mi hanno chiamato per cognome, mi hanno trasportato su una barella al piano di sotto. Un viaggio lunghissimo. E' sempre strano stare in barella. Il mondo era sparito, c'ero solo io che viaggiavo fra i corridoi, mentre sentivo che il momento si avvicinava fisicamente. I miei passi verso...

Una stanza di due metri quadri. Mi hanno chiusa lì. Siediti, hanno detto, che dobbiamo finire con l'altra.
Una stanza vuota, una sedia, un tavolo di metallo.
Mi sono portata le mani e lo sguardo alla pancia. La accarezzavo delicatamente. L'ho salutat, gli ho detto che mi dispiaceva veramente tanto, che ero stata una stronza ad averlo concepito,  gli ho chiesto scusa supplicandolo di non condannarmi per l'eternità. Gli ho detto addio. Il calore della mia mano che per l'ultima volta sarebbe arrivato fino a lui.
Addio.

Poi l'anestesista. Le solite domande.
Poi finalmente mi fanno sdraiare, mi fanno posizionare la cambe, collegano l'agocanula a qualcosa...
"Ti chiami Arianna eh? E dov'è il tuo filo?"
E io giuro, che prima di addormentarmi, prima di cercare di rispondermi, avevo capito 'figlio'.
Dov'è mio figlio.

E' successo qualcosa. Qualcosa che non ho capito bene. Dicono sia normale avere delle reazioni strane dopo l'anestesia. Quando mi hanno svegliato per spostarmi nel letto mi sono ritrovata già che singhiozzavo e mi lamentavo. Piangevo senza lacrime. Poi sono cominciate ad uscire. E piangevo e piangevo, nel mio letto, rannicchiata. Il dolore alla pancia, ma del dolore fisico non me ne fregava un cazzo, io piangevo e non sapevo perchè. Urlavo, le infermiere mi toccavano per tranquillizzarmi, o forse per prendermi il braccio per darmi l'antibiotico, ma io mi divincolavo, non volevo più muovermi. Il braccio me l'hanno fatto stendere con la forza. Ma io non sapevo, non me ne rendevo conto. Ero lì e non ero lì. Urlavo e mi lamentavo e non me ne fregava un cazzo di niente e di nessuno. C'era dolore, tanto dolore e tanta rabbia. Li ho tirati tutti fuori, per quaranta minuti. Ho tirato fuori agglomerati di tristezza, ho buttato talmente tante cose fuori che dentro mi sentivo piacevolmente vuota.
Intanto quella dopo di me aveva già fatto in tempo ad andare e tornare.
"Oh, ci hai fatto piangere a tutte, ci sono quelle in corridoio del secondo turno che si stanno agitando". Scusate, scusate. Scusate se non me ne frega un cazzo.
Mi sono ritrovata con una coperta addosso. "L'hai detto tu, che avevi freddo, te l'hanno data le infermiere".

Occhei. Perfetto. Avevo mandato a fanculo tutto. Ora stavo meglio. Le altre parlavano di dolori alla pancia incredibili, tanto da farsi fare una tachipirina endovena.
Le infermiere si sono avvicinate a me preoccupate. "Allora, va meglio?"
"Certo che va meglio. Quando posso uscire?"
"Prova a sederti, fra cinque minuti fatti una paseggiata verso il bagno e vedi come stai".
Mi sono seduta e stavo bene, mi sono messa subito in piedi. Sono andata in bagno, ho messo l'assorbente. C'era sangue ovunque.
Le altre accusavano dolori inenarrabili alla pancia. Io non sentivo più nulla, in nessun senso. Era come se non fosse accaduto niente. Sono uscita dal bagno che ero uno splendore, sorridevo a quelle due povere derelitte.

Una volta vestita mi hanno infilato in una sala. Una giovane dottoressa mi prescriveva un farmaco post aborto, e poi mi cercava di convincere a prendere ottocento ricette di contraccettivi.
Ma io la pillola non la prenderò mai.
E i cerotti nemmeno.
E la spirale non è sicura al cento per cento e la sconsigliano alle giovani.
Ma lei non mi lasciava andare. Non m'avrebbe lasciato andare in giro a scoparmi mezzo mondo, come fossi l'ultima delle troie di borgata, senza le mie preziose ricettine della nonna.
L'anello.
Sì, occhei l'anello. Me l'ha prescritto per tre mesi. Mi ha spiegato tutti i processi.
Sì. Molto interessante.
Non l'ho mai comprato.

L'ultima cosa che mi è entrata d'entro è stata una specie di aspiratore. L'ultima cosa che mi è entrata dentro mi ha levato il mio futuro e incasinatissimo figlio. La penultima me l'ha donato.
Un anello... Un anello è un insulto.
Un insulto.

Sono uscita da lì con la pancia vuota. E' stato strano, stranissimo. Ho pianto, ho riso.
Non riesco più ad essere triste. Ho eliminato tutto, come faccio sempre con le cose dolorose.
Me l'ha detto la terapeuta. Tu hai dei buchi nella memoria, da quando sei piccola. Tu cancelli cose, non importa se è accaduto ieri, tu domani non te ne ricorderai. Lo fai per difenderti. Ma non è il modo giusto.

Lo so che non è il modo giusto, ma per ora è l'unico modo che ho.
Dov'è mio figlio?
Non lo so, l'ho dimenticato.

19 commenti:

  1. (leggerti è un'avventura. e si impara tanto)

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    1. Sì, si impara a non farsi fregare a vent'anni da un idiota, dimostrando di essere ancora più idiota di lui.

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    2. smettila. c'è molto più di quello, qui. molto di più.

      poi, è altrettanto vero che hai tutto il diritto di poter desiderare di non aver vissuto queste situazioni. ma non sposta il punto sopra. che per chi ti legge, c'è molto.

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    3. Lo spero. Lo vorrei. Ma sarebbe anche lecito che qualcuno la pensasse così.
      Lieta ogni volta di sapere che tu non rientri nella categoria.

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    4. io FACCIO categoria a me. dovresti saperlo ormai.
      :-D

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  2. bella chiara, precisa, analitica
    il titolo è perfetto
    i buchi...forse non è il modo adeguato ma aiutano ad andare avanti

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    1. E' che in realtà, alla fine, i buchi se ne stanno sempre lì dentro di te, non c'è un cazzo da fare.

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    2. ma non è colpa dei buchi, è colpa di quello che c'era dentro, che ogni tanto cerca di tornare al suo posto

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  3. Sai, pensavo davvero che questo ultimo capitolo non l'avresti mai scritto. Avevo immaginato che preferissi tenerlo per te. Invece, grazie.

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    1. Semplicemente non avevo il tempo. E più il tempo passa, più diventa difficile. Probabilmente se l'avessi fatto prima l'avrei diviso in più parti. Sarei stata più precisa.
      Dopo un mese già la memoria dei dettagli comincia a sfumare.

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    2. E forse è bene che sia così.

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  4. ognuno combatte il dolore come meglio può... forse il tuo cancellare le cose non avrà esisti duraturi ma al momento forse riesce a salvarti...
    ps: questa battuta del filo di Arianna la fanno sempre alla mia amica e lei la detesta ;)
    un abbraccio :D

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    1. A me sembra di raccontare di un'altra persona, ora.
      Emotivamente non ci sono più. Emotivamente non riesco a ricordare. Rileggermi ripensando a quelle scene non mi suscita più nulla. Zero. E' una sensazione molto strana.

      Eh, sì, la capisco la tua amica, io sono anche nata il sei gennaio quindi tra "Ti sei persa il filo" e "Oh, quest'anno non mi portare il carbone per piacere" mi sono allenata molto per non picchiare le persone poco originali.

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  5. Aspettavo l'ultimo capitolo. Hai come creato una serie televisiva di cui tutti bramavano l'ultima puntata. Che si è rivelata all'altezza.

    Mo che scriverai?!?!

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    1. Grazie per l'altezza.

      Ora scrivo di Parigi, contento?
      O forse no, vediamo.

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    2. Cheppalle.
      E basta co sti mangiabaguette.

      Mi angosciano molto piu dell'aborto Ari.

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    3. Un motivo in più per parlarne ;)
      Ma tu mi leggerai lo stesso, insultando ogni post?

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  6. Piccola Arianna, continua a scrivere, per favore.

    cq

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